Ogni volta che mi viene in mente un argomento su cui scrivere, succede qualcosa che me ne fa intravedere immediatamente l’inutilità. A volte, è come se nulla avesse un senso, anche se ho tanti interessi che danno significato alla mia vita e mille motivi che rendono ancora valide le mie scelte.
Come disse un tale* in un’intervista, “molti preferiscono realizzare la propria identità, piuttosto che cercare la felicità. La felicità è un concetto vago”. Credo di essere tra quei molti, ma ho ancora parecchi No da dire e molti rifiuti da fare. Non è facile, ma so che quando si riesce a realizzare una piccola porzione d’identità ci si sente liberi e concretamente felici. Una sensazione tutt’altro che vaga e inutile.
Questa è l’immagine che meglio mi rappresenta. E non è perché corro in moto, anche se mi piacerebbe avere il coraggio e le capacità di Valentino Rossi; e non è neanche perché sto per compiere 46 anni. No.
E’ perché, come Valentino, io sono una che quando cade si rialza e sale nuovamente sulla moto.
Come Valentino, so incassare quando mi attaccano e cercano di negare e distruggere quello che ho costruito, sorrido e a testa bassa riparto. Non ho il suo talento, né i suoi soldi, ma ho la sua stessa determinazione nel perseguire i miei obiettivi. Preferisco morire sapendo di avere fatto di tutto per trovare la felicità, piuttosto che vivere ai margini della pista.
Non è ancora uscito in sala (per la verità sono 4 mesi che l’unico cinema che frequento è il salotto di casa mia), ma guardando il trailer di Robin Hood mi è sembrato di aver già visto il film di Ridley Scott. Un pout-pourrì che mette insieme MaximoIl Gladiatore e Le Crociate, ma che cita anche Braveheart e Troy. Colonna sonora da film epico e una protagonista femminile, Cate Blanchett, perfetta per interpretare una nobile inglese dopo aver vestito i panni della Regina. Lo andremo a vedere e lo troveremo un bel film, perchè ci emoziona la voce di Luca Ward (il doppiatore di Russel Crowe), che sembra sempre sul punto di scatenare un inferno e perché un eroe che ruba ai ricchi per restituire ai poveri sarebbe la soluzione per molti di noi.
Incapaci di reagire a uno stato delle cose che ci annienta e ci svuota di dignità e vitalità, andremo ad anestizzarci al cinema, per non pensare e perché non abbiamo più voglia di combattere. Il film aprirà la prossima edizione del Festival di Cannes, dato che il regista, l’attore e il personaggio sono loro stessi un evento e la proiezione sarà in anteprima mondiale. Più tardi, nella sezione Special Screenings, verrà proiettato il nuovo film di Sabina Guzzanti, Draquila, l’Italia che trema. Anche questa pellicola è diventata un piccolo evento per aver determinato la decisione del Ministro della Cultura Bondi di boicottare il Festival, perché il film traccia un ritratto impietoso del governo e del suo capo. Un film che non cita e non imita nessun altro, i cui attori sono gli abitanti de L’Aquila e in cui gli eroi sono tutti quelli che si sono rimboccati le maniche per ricostruire una città distrutta dal terremoto.
Eppure, al botteghino vincerà il film anestetico. Per via della distribuzione, certamente, più interessata al Kolossal americano che al docu-film italiano, ma anche per la stanchezza che ci/mi assale e che spesso ci/mi fa chiudere gli occhi.
Vite di striscio mi passano accanto, entrano nella mente a interrompere i pensieri.
Note tristi e melanconiche che alterano l’armonia del pensiero, scritta e riscritta più volte per ottenere una melodia piacevole da suonare e ascoltare. Sono vite che sfiorano la realizzazione o che le camminano accanto, su strade parallele che non si incontreranno mai. Sogni infranti, i cui frammenti sono stati incollati migliaia di volte come vasi preziosi usurati dal tempo. E in quei frammenti rivedo traguardi che non mi appartenevano ma per i quali ho corso a lungo, sfibrando i muscoli, perdendo il fiato. Ritrovo immagini antiche che avevano il loro fascino, ma in cui i volti erano quelli sbagliati. E mi chiedo quanto anche la mia non possa essere un’esistenza di striscio.
A volte sento la pienezza di alcune sensazioni e ho la certezza di una vita vissuta senza mai dare nulla per scontato, in cui ho prima cercato di capire e poi cercato di ritrovare il sentire. E se con la ragione era facile costruire alibi e inventare scuse, con la pancia c’è poco da ‘filosofare’. Osservo vite confuse che cercano linfa vitale in sottili distrazioni e penso che da quelle vite sono nati figli meravigliosi, quasi per caso. E penso, poi, che meravigliosi sono i bambini perché germogliano pure in mezzo alla gramigna, anche se dovranno trovare terreni irrigati in cui prosperare per evitare di inaridirsi con il tempo.
E torno a osservare atleti diventati agenti immobiliari, che corrono la domenica mattina sognando traguardi irraggiungibili; aspiranti musicisti tamburellare con invisibili bacchette su scrivanie d’ufficio; sognatori romantici che vivono dentro a un cassetto; e tutti, o quasi, non riescono a godersi il presente persi nella nostalgia e nella speranza, nel migliore dei casi, nei rimpianti e nelle aspettative, nel peggiore.
Io, il presente ho imparato ad apprezzarlo molto tempo fa, ventanni per la precisione. E questo non mi ha impedito di conservare memoria del passato, né di fare progetti per il futuro. Di progetti ne ho sempre avuti tanti e alcuni li ho anche realizzati, altri sono in fase di costruzione, ma il progetto più importante è sempre in divenire.
E’ quello più ambizioso, lo so, quello per cui ho sempre lottato e per il quale mi sono scoraggiata fino quasi a morirne. Eppure, a lui non rinuncio anche quando sono costretta a buttare giù quello che ho costruito e a ricominciare daccapo.
Quel progetto sono io. Per non correre il rischio di vivere una vita di striscio, per non sprecare energia e vitalità rincorrendo i sogni degli altri, per non confondersi in funzione delle aspettative altrui, per non annullarsi dinanzi a prospettive di vite da cartolina, ecco, per questo io resisto. E lo dico e lo ribadisco, non è tanto il dolore – al quale ci si abitua – a fare male, ma la solitudine interiore che ogni tanto t’illudi di mettere a tacere, condividendo pensieri, sensazioni e sciocche quotidianità con chi pensi t’amerà e amerai per sempre.
Stamattina, venendo il ufficio, la radio trasmetteva questo brano, parte della colonna sonora di una deliziosa commedia con Susan Sarandon e Richard Gere, Shall We Dance?, interpretato da Peter Gabriel anche nel suo ultimo disco di cover. E ho fatto fatica a trattenere le lacrime, come ogni volta che vedo questa scena. Perché quando ami davvero una persona non la cambieresti per nulla al mondo e dopo anni puoi sempre amarla come la prima volta. E perché la vita non è una cartolina né un film, ma se lo si vuole veramente si può vivere una vita piena e non una vita di striscio.
Oggi è una giornata no. Ogni tanto mi capita, soprattutto durante le feste in cui il mio umore è abbastanza altalenante, per usare un eufemismo. I motivi per cui mi sento così sono i più vari e inutili, dal mal di testa appena ci si alza, al tempo sprecato o, meglio, utilizzato per fare tutto ciò che non ha che fare con i propri desideri, impegni, urgenze.
Appunto, le motivazioni sono quelle di sempre, ma ci sono giorni in cui non si riesce a dargli il giusto peso e anche una piccola inezia si trasforma in un ostacolo insormontabile.
Malumori. Voci dissonanti. E’ come se il mondo girasse a una velocità alla quale fatico ad adeguarmi. Sono infastidita e vorrei solo infilarmi sotto una coperta a guardare un film. Trattengo parole e pensieri, rimando discorsi e ostento una serenità che non ho, ma chi mi conosce lo capisce dal tono della voce o dal broncio che ho stampato in faccia. Prosegui la lettura…
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