Le cose non dette
restano in bocca
e diventano amare,
scavano solchi
difficili da colmare.
Potresti far finta di niente
ingoiarle senza sentire il sapore
ma hanno un suono tagliente
che resti ad ascoltare per ore. Prosegui la lettura…
Pubblico la seconda lettera dell’epistolario amoroso tra Salvatore e Carmela. La risposta è datata 23 luglio 1930 e, considerando che lo scambio avvenne di nascosto, attraverso persone fidate che recapitavano a mano le missive facendo la spola tra i due amanti, capiamo che i due vivevano distanti l’uno dall’altra, probabilmente in due paesi confinanti. Questo il motivo dei tempi lenti di recapito e delle alzatacce di Salvatore, che ‘fuggiva’ all’alba da casa di Carmela per non rischiare di farsi vedere lontano dal suo paese. Tutti avrebbero pensato che era là per affari loschi o carnali. In entrambi i casi, lui avrebbe rischiato la vita e Carmela la reputazione.
Carmela adorata,
ti scrivo con la pena rintra ‘o cori e ‘u focu rintra e’vene. Lo sai gioiuzza beddra che, ogni vota ca te lasso sola, metà del mio core smette di tuppiare nellu me pettu e resta ad abbrusciari nello tò ancora càvudo d’amore?? Lo sai picciotteddra ca sulo pe tia m’addecisi a cambiari vita? Ca sulo grazie ti devo diri, pirchì prima di canùsciriti m’allurdavo le mani co l’autri picciotti ma ora, ora sugno n’omo novo. Lu saccio ca sti ultime nuttate sugno state paradiso e inferno pi tia, ma puro pi mia fu ‘na cammurria… Puro quanno nun mi corico cu tia, resto coll’occhi sbarracati a taliare il soffitto e non c’è verso d’arrinnesciri a pigghiari sonno. Allora mi suso, rapro la finestra e resto a taliare le stiddre ca me ricordano la billizza dell’occhi tò. Prosegui la lettura…
Quest’anno sono trasversale.
Anticipo, posticipo e mi giustappongo agli amici che si avvicenderanno in una casa sul mare, messa gentilmente a disposizione dall’amica architetto. La conosco da vent’anni e non sono mai andata in quel posto di mare in Puglia di cui tutti dicono meraviglie.
Ma quest’anno, in quest’ultimo mese, sono successe cose che ci hanno cambiato la vita, che ci hanno cambiato dentro. Ognuna di noi si è persa, ritrovata e avvicinata all’altra.
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Sulle (false) orme di Camilleri, pubblico qui una lettera parte di un epistolario amoroso rinvenuto in Sicilia. Trattasi di missiva scritta da una nobildonna dell’entroterra al suo amante, uomo dall’oscuro passato, per amore sulla via della redenzione (o quasi). La lettera, datata 18 luglio 1930, è arricchita da frasi in dialetto siciliano, alcune delle quali cancellate dall’autrice per pudore ed educazione, trattandosi di epoca in cui la sfrontatezza non faceva parte del corredo di una donna ‘perbene’, tantomeno se del Sud.
Amato mio beddu,
decisi di scriviri questi du’ righi l’autra notte, doppo essere trasuta dintra alla càmmara che poco prima mi avìa sintita sospirare tra le vrazza tua… Ti scrivo pirchì quando mi guardi nell’uocchi e mi ‘vasi io, amore mio, perdo ‘u lume della raggione.
Ma poi, quanno traso nella stanza vota per cercare di durmirici ‘nzemmula, prima che il sole mi riporti alla realtà, mi giro e mi rigiro, senza addurmisciri. Prosegui la lettura…
La mia vita dovrebbe essere diversa.
Tanti anni fa, durante una festa di Capodanno con gli amici del mio fidanzato di allora, ci eravamo dati un appuntamento virtuale per la fine del secolo, 31 dicembre 1999. Dovunque e con chiunque fossimo stati, ci saremmo incontrati per festeggiare insieme, un pò come avviene in Fandango quando, prima del matrimonio di uno di loro, i Groovers vanno a trovare “l’amico D.O.C.” seppellito da qualche parte in Messico.
Non abbiamo rispettato l’appuntamento, tutti tacitamente d’accordo. Tre mesi dopo quel Capodanno, il nostro amico Giovanni perse la vita in un fatale incidente automobilistico. Uno di quegli incidenti in cui le probabilità di vivere o morire sono esattamente le stesse. Erano in tre, due ne sono usciti quasi illesi.
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