Stamattina pensavo a quanto le parole siano fraintendibili, sia per chi le pronuncia che per chi le ascolta. E non è certo colpa dei vocaboli in sé, ma di come li usiamo e li mettiamo insieme. Il tono, il contesto e lo stato d’animo che abbiamo modificano l’effetto/percezione delle parole che diciamo o ascoltiamo.
Poi, trovo un articolo online che parla di Wordle, un gioco che genera tag clouds sulla base delle parole che appaiono più frequentemente nei siti di cui gli si fornisce l’indirizzo. Così ho inserito l’indirizzo del mio blog ed è venuta fuori la clouds che vedete nell’immagine (cliccandoci su la vedete ingrandita). Curiose alcune frasi generate tipo: Penso posto armadi (relativa al bimestrale problema del cambio di stagione) o Conservo paure. Ma anche Abbandonarsi cuore mai o Credevo condividere automobilisti.
E’ possibile modificare colori e layout e, in questo modo, si modificano anche le combinazioni delle parole. E’ solo un gioco ma, scherzando e ridendo, restituisce l’immagine di ciò che scriviamo e pensiamo. Certo, si tratta di un’immagine parziale limitata a una o più pagine, eppure fa pensare. Quindi, concluderei con una frase in cui credo: Verità sempre sotto immagini.
E non aggiungo altro.
Ci sono segreti o bugie detti a fin di bene che possono avere conseguenze devastanti anche nella vita di chi non è direttamente interessato alla verità. Tutti mentiamo o custodiamo segreti per salvaguardare rapporti o per tutelare noi stessi. Purtroppo, però, ci sono verità taciute che sbucano fuori quando meno te l’aspetti e cambiano il corso delle cose.
Fino all’età di 14 anni non ho mai detto bugie. Pensavo di non aver nulla da nascondere o di cui vergognarmi e credevo che nel momento in cui si ha bisogno di mentire significa che si sta facendo qualcosa di sbagliato. Poi, necessità fa virtù, ho detto a fatica le prime bugie per sopravvivenza. Quelle che si dicono ai genitori perchè non vogliono che sali su un motorino o che vai in un certo posto perché la strada è pericolosa. Piccole omissioni di verità per farli stare tranquilli e per non rinunciare alle esperienze fondamentali di un adolescente.
Stamattina, durante la trasmissione Grazie per averci scelto su Radio2, Marco Santin ha proposto questo pezzo d’apertura. Si tratta di un brano dei primi Tears for Fears che Gary Jules ha reinterpretato per la colonna sonora originale di Donnie Darko. Si parlava dell’11 settembre 2001, una data che rappresenta l’anno 0 per tutti quelli che hanno assistito in diretta al tragico evento, cioè per la popolazione mondiale. Io, come tutti, guardavo sconvolta le immagini che la Tv trasmetteva. Al lavoro, cercavamo notizie su internet, ma la rete era crollata. Così scopriì i blog. Attraverso la voce di chi viveva nei dintorni di quello che oggi si chiama Ground Zero, mi tenevo aggiornata sul recupero delle vittime. Leggevo reportage scritti da gente comune che niente aveva a che fare con i giornalisti professionisti. In seguito, ne scrissi in un articolo d’informatica, cercando di capire e analizzare il fenomeno. Poche parole mi vengono in mente oggi, se non che anche io sono diventata una blogger.
Posto qui il bellissimo video di Gary Jules, Mad World, e non pubblico alcuna delle foto di quel giorno che conservo per non dimenticare. Non ho mai visto le torri gemelle, perché a NY ci sono andata dopo l’11 settembre. Lì ho respirato l’irreale silenzio di Ground Zero. Ho riascoltato le parole di Edward Norton nella 25° ora e conservo nel cuore la sublime immagine di Ernest Borgnine che, nel corto di Sean Penn all’interno del film 11 settembre 2001, guarda attonito la piccola pianta sul davanzale che, finalmente/purtroppo, viene raggiunta da un raggio di sole.
C’è il sole, ma anche una leggera brezza che impedisce di sudare. Ferma davanti al 127, fumo una sigaretta e aspetto. Gli sguardi curiosi degli automobilisti, un operaio che m’indirizza un fischio d’ammirazione, un uomo anziano che impiega un quarto d’ora a parcheggiare, il portiere che mi guarda chiedendosi dove mi ha già vista. Penso alle volte in cui sono stata ad aspettare su questo marciapiede e alle sere d’inverno in cui, sola, uscivo dal portone con le spalle ricurve sotto un peso che non potevo condividere con nessuno. C’è il sole oggi, è l’ora di pranzo, l’aria profuma di settembre. Se potessi, vorrei un anno fatto di dieci settembre, un luglio e un aprile… ma oggi quest’aria carica di promesse non lenisce l’ansia che mi stringe lo stomaco.
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