Ti ho sentito intenzionato, ieri.
Come se avessi messo da parte ogni cosa per dedicarti esclusivamente a me.
Così è stato.
Nel tono della voce, più che nelle parole, ho sentito una spensieratezza rara, per te.
Mi hai sorpreso, che bello!
Ti fidi di me, hai detto. Mi rendi felice a volte, sai? E stanotte ti ho sognato.
Il volto non era il tuo, ma eri tu.
Ovunque, vicini, abbracciati, ci baciavamo, soli fra gente che non vedeva.
Resta, al risveglio, la sensazione di un contatto fisico profondo, intimo.
L’impressione di essere ancora rannicchiata tra le tue spalle…
Che strana cosa, l’invisibile presenza di un rapporto che non ha cardini, né presupposti.
Nessuna aspettativa, né progettualità, nemmeno l’idea di renderlo diverso da quello che è.
Una rara occasione per ‘sentirsi’ e capire qualcosa in più di noi stessi,
senza lasciarsi distrarre dalle implicazioni materiali di un rapporto.
Cammino per la mia strada, lontano da te
vicina a qualcun altro, a volte anche migliore di te.
E conservo dentro di me l’immagine di tante bolle di sapone.
Le vedi trasparenti, ma assumono i riflessi della luce,
le insegui con gli occhi come fossi bambino.
Ti bagni le dita con acqua e sapone
e ti resta addosso profumo di pulito,
e ti resta dentro la leggerezza di un gioco.
Sussurri, e soffio per farne di nuove,
le mani bagnate prima di ricominciare.
Bolle di sapone, attimi con te.
C’era una volta una farfallina curiosa e intelligente che non si saziava mai di sapere. Fin dai primi istanti di vita si guardò intorno per scoprire cosa muoveva le foglie, chi faceva risplendere i fiori di meravigliosi colori e perché le api si divertivano tanto a saltare da una corolla all’altra. Non smetteva mai di osservare, guardava il mondo e trascurava se stessa. Non si era accorta di avere delle belle alucce colorate, né immaginava quanto fosse leggera ed elegante. Poi un giorno, dopo un temporale, si posò sul ciglio di una pozza d’acqua e credette di vedervi l’arcobaleno, ma poi si accorse che i colori riflessi erano quelli delle sue ali gialle striate d’azzurro. Pensò, allora, che dopo aver imparato tanto sul mondo e sugli altri esseri che lo popolavano, avrebbe dovuto cominciare a conoscere se stessa. Non fu un’impresa facile. Le toccò rimettere in discussione tutto quello che aveva imparato e cambiare tutti i suoi soliti punti di osservazione. Le farfalle, si sa, svolazzano senza seguire una rotta e non sembrano molto interessate a tutto ciò che si frappone tra loro e il sole, ma non fu così per lei. Prese tanto sul serio la sua missione che un giorno, mentre rifletteva nascosta tra le foglie di un albero maestoso, venne strappata via da qualcosa e all’improvviso fu buio.
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17 aprile 1987
Una notte Stella abbassò lo sguardo e vide il mare. Ne rimase incantata: non immaginava che esistesse qualcosa oltre il cielo. Era splendido, immenso, profondo e misterioso. Poi scoprì la Luna che ci si specchiava e cominciò a giocare con i suoi riflessi. Conobbe i pesci, le stelle marine e le conchiglie e ogni volta inventò un gioco nuovo. Successe, però, che una notte iniziò a correre e si allontanò dal mare fino a scoprire la sabbia, la spiaggia e gli alberi. Un tripudio di forme, odori e colori che la sconvolsero, non ne era mai sazia abbastanza.
Venne il giorno e Stella andò a dormire, ma la notte dopo tornò sulla spiaggia e fra gli alberi. E fu proprio mentre si riempiva gli occhi di quei colori che qualcosa attrasse la sua attenzione. Qualcosa brillava intensamente nel bosco: erano gli occhi di un uomo. Stella si tuffò in quei laghi immensi, nuotò nelle sue acque limpide e conobbe l’amore. Non aveva mai provato nulla di così violento eppure tanto dolce… passione e tenerezza, desiderio e comprensione.
Fu per questo che iniziò a scaldarsi e a brillare sempre di più, desiderando che lui la vedesse. L’uomo scrutava il cielo, guardava la luna e cercava le stelle, fra mille difficilmente si sarebbe accorto proprio di lei. Stella lo capì, così si lasciò cadere giù, sempre più giù, e gli regalò un desiderio. Lui la vide e fu sua per sempre.
Il sapore della sigaretta appena accesa mi riportò indietro di… quanti anni erano passati? Cinque, forse, ma non ne ero sicura. Il tempo era trascorso in maniera poco lineare dal primo natale passato insieme, fino all’ultimo in cui lo vidi. L’aria gelida di dicembre odorava di legna e di festa, proprio come quella sigaretta, la prima di una lunga giornata trascorsa sulle pagine di un libro. Cercavo di non pensare e, da sempre, i libri erano stati i migliori complici delle mie evasioni dalla realtà. Solo che la realtà è un carcere dal quale non si può fuggire, non per sempre almeno, se non si vuole rischiare la vita. Prosegui la lettura…
Mancano solo un paio di settimane alle odiate/amate feste natalizie e ne approfitto per pubblicare un racconto scritto nel ’99 e pubblicato la prima volta sul sito di un caro amico scrittore. Oggi, alcune di quelle persone citate nel racconto non ci sono più… Sento la mancanza di una di loro, soprattutto, che se ne è andata prima del tempo, lasciando me e la mia famiglia poco prima di quel Natale, improvvisamente gelido e doloroso. Non ho fatto in tempo a dirle tante cose, né a farle leggere questo racconto di cui le avevo parlato… Dopo, niente è stato più lo stesso. A zia Lù, sempre nel mio cuore. Prosegui la lettura…
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