H. 4.20 del mattino, la lavatrice centrifuga dentro l’armadio. Due ore fa mi sono svegliata dopo essermi addormentata sul divano per non andare a letto… giusto un pisolino non impegnativo, senza sogni please, senza concedersi il sonno dei giusti, il riposo tranquillo di chi ha trascorso una dura giornata di lavoro.
Mi sono svegliata per andare in bagno e, al ritorno, passando per la cucina, ho visto il piatto con la cena e ne ho approfittato.
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Sulle (false) orme di Camilleri, pubblico qui una lettera parte di un epistolario amoroso rinvenuto in Sicilia. Trattasi di missiva scritta da una nobildonna dell’entroterra al suo amante, uomo dall’oscuro passato, per amore sulla via della redenzione (o quasi). La lettera, datata 18 luglio 1930, è arricchita da frasi in dialetto siciliano, alcune delle quali cancellate dall’autrice per pudore ed educazione, trattandosi di epoca in cui la sfrontatezza non faceva parte del corredo di una donna ‘perbene’, tantomeno se del Sud.
Amato mio beddu,
decisi di scriviri questi du’ righi l’autra notte, doppo essere trasuta dintra alla càmmara che poco prima mi avìa sintita sospirare tra le vrazza tua… Ti scrivo pirchì quando mi guardi nell’uocchi e mi ‘vasi io, amore mio, perdo ‘u lume della raggione.
Ma poi, quanno traso nella stanza vota per cercare di durmirici ‘nzemmula, prima che il sole mi riporti alla realtà, mi giro e mi rigiro, senza addurmisciri. Prosegui la lettura…
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